Questo articolo non è propriamente di riflessione, ma di sfogo. A volte si perde l’oggettività, si smette di voler pensare, ci si stanca di riflette, non si ha l’energia di mantenere la calma interiore. A volte si vuole solo urlare, sfogarsi. Ci si trova incastrati, ingabbiati, imprigionati. A volte sembra che la soluzione non sia raggiungibile.
Viaggiare vuol dire mettersi in moto, fisicamente o psicologicamente. Un viaggio prevede un punto di partenza e un punto di arrivo. Ma a volte, nella vita, anche il viaggio più lungo, più estenuante, più coraggioso e più doloroso non porta da nessuna parte.
Ci sono delle fasi, nella vita, in cui ti trovi ad intraprendere viaggi indispensabili (o per lo meno presunti tali) e dai quali non puoi esimerti. Magari perché ritieni che ci siano delle importanti decisioni da prendere, perché sai che non puoi fare altrimenti o perché ritieni opportuno farlo.
A volte sono viaggi lunghi, lunghissimi. Ci vogliono anni, a volte decenni, e cerchi di trovare la soluzione migliore. Magari ce l’hai a portata di mano e credi di averla trovata, magari vedi il punto di arrivo e ritieni, ormai, di aver raggiunto l’obiettivo finale. Poi, di colpo, ti capaciti di una cosa: hai agito, hai sofferto, hai preso decisioni importanti, hai tenuto comportamenti consoni, mantenendo anche una coerenza invidiabile, hai imposto a tutti, anche a te, un atteggiamento adeguato, degno di tal nome, hai mostrato correttezza e credi di aver seminato bene.
Poi ti ritrovi, dopo anni di viaggio, sullo stesso letto, nella stessa posizione, in una fredda e umida giornata tardo-autunnale/invernale, a piangere. Senza che nessuno al mondo possa vederti, senza che nessuno al mondo possa sospettare nulla. Perché poi, finito lo sfogo, indosserai di nuovo il tuo miglior sorriso, la tua espressione serena, il tuo carisma, la tua sicurezza e ti mostrerai di nuovo al mondo. Imperturbabile. Apparentemente felice. Visibilmente sorridente. Da scaturire l’invidia del mondo.
Dopo un viaggio infinito, tutto resta come prima. Stesse lacrime, stesse sensazioni, stesso senso di solitudine, stessa espressione da Actor’s Studio (falsa, ma convincente), stesso vuoto interiore. La domanda dunque diventa: a cosa è servito questo Viaggio?
E ci si ferma a riflettere, ancora con gli occhi lucidi, su ciò che si è riusciti ad ottenere e ciò a cui si è stati costretti a rinunciare. E che la felicità, forse, è solo una breve parentesi in un infinito mare di lacrime.